Notiziario di Martedì 21 Ottobre 2003
Calogero Mannino doveva morire. Lo ha detto il pentito Nino Giuffrè, sentito stamane come testimone nel processo d'appello all'ex ministro, imputato a Palermo per concorso in associazione mafiosa e assolto in primo grado. Di Mannino, ha aggiunto Giuffrè, negli ambienti di Cosa nostra si parlava come di una persona vicina e disponibile. A lui si devono molti finanziamenti di opere pubbliche, ma ad un certo punto cominciò a fare un passo indietro e Cosa nostra reagì. Il collaboratore ha quindi ricostruito in dettaglio la storia della gestione illecita delle opere pubbliche da parte di Cosa nostra parlando del ruolo di Angelo Siino che faceva da tramite tra i boss, gli imprenditori ed i politici. Ad un certo punto, ha raccontato Giuffrè, la stella di Siino cominciò ad offuscarsi e Totò Riina decise di cambiare rotta: a Siino restarono gli appalti fino a 4 miliardi, il resto venne assegnato al cosiddetto tavolino al quale sedevano anche gli imprenditori agrigentini Filippo Salamone, Antonio Vita e Giovanni Miccichè molto vicini a Mannino. Non appena Mannino cominciò a fare dietrofront, ha concluso il pentito, per lui cominciarono i dolori: le poltrone del suo studio ad Agrigento vennero tagliate a forma di una croce. Il fratello di Mannino cercò di fare arrivare un messaggio a Provenzano per chiedere protezione per il politico.